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La scienza (nell'Investigazione) ci rende cinici
di Prof. Saverio Fortunato
(Rettore e docente di Criminologia dell'Istituto Italiano di Criminologia degli studi di Vibo Valentia )


Il filo conduttore di questo saggio è di poter affermare che se suprema attività umana è fare scienza, allora diventa doveroso impedire alla scienza d’essere tanto brava da rendere inutile all’uomo di fare scienza
[1]. Perché dico questo? Perché svolgendo il lavoro di criminologo clinico mi accorgo che ormai in Italia quando accade un crimine da Roma in sù, arrivano i Reparti investigativi scientifici e, come accade nelle fiction, pretendono di risolvere nella realtà tutto con la “scienza”. Analizzano le tracce biologiche, il capello, la zanzara depressa, la formica incinta e così via, portando ogni reperto nel laboratorio scientifico e poi sciorinano una serie di teorie che pendono sempre a favore dell'accusa e che non mettono in modo ferreo l'indagine (e il cittadino) al riparo dall'errore scientifico e giudiziario.
Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: dal delitto di Cogne al fenomeno Unabomber, dal delitto di Garlasco a quello di Perugia e così via. Errori metodologici, scenari di fantasia, metafore suggestive alimentano indagini spettacolari dove i mass-media attingono come api sul miele. Alla fine, in nome della “scienza” accade sempre più spesso che il ragionamento d’indagine non riesce ad allontanarsi dall’abitudine e dall’esperienza, lasciando a desiderare il ragionamento per problemi che sfrutta l’intelligenza.
Ecco quindi che la filosofia delle scienze può aiutarci a capire il bandolo della matassa: che cos’è scientifico? Qual è la verità? Meglio un colpevole fuori dal carcere col dubbio che sia innocente oppure un innocente dentro col dubbio che sia colpevole? Per rispondere a questi interrogativi svilupperò il tema per piccoli paragrafi.

§1. L’illusione di sapere tra scienza e scientismo

Scrive il filosofo e medico Bencivenga: “L’intera comunità scientifica è stata periodicamente illusa da analogie inadeguate, succube di personaggi autoritari o tradizioni ancestrali, accecata da pregiudizi, dall’ambizione o dalla fretta, ingannata da ragionamenti fallaci. Si è così passato da uno scientismo all’antiscientismo”[2].
Di Trocchio, nella sua opera “Le bugie della scienza”[3], scrive: “Da qualche tempo anche imbrogliare è diventata una scienza. Proporrei di chiamarla imbrogliotica o meglio, come suggerisce Tullio De Mauro, imbroglionica. Si tratta di una disciplina d’avanguardia che non costituisce materia e d’insegnamento, ma fa parte del conoscere degli scienziati. Essa non consiste nel rendere credibile l’incredibile e l’impossibile alla gente comune, come fanno astrologi, maghi e fattucchieri, ma nel fare la stessa cosa con i colleghi. (…) Imbrogliare gli scienziati è più difficile perché bisogna conoscere la materia ed i dettagli delle tecniche sperimentali”.
Di Trocchio spiega che non solo taluni premi Nobel contemporanei hanno imbrogliato, ma anche scienziati come Galilei e Newton. Solo un buon fisico come Blondlot, per esempio, poteva rendere credibili gli inesistenti raggi N e solo un autorevole psicologo come sir Cyril Burt poteva convincere i suoi colleghi di aver dimostrato sperimentalmente che l'intelligenza e la stupidità si ereditano dai propri genitori. Tuttavia, Di Trocchio, indica una differenza: mentre i grandi scienziati, che appartengono alla storia, arrivano ad imbrogliare con le loro teorie, ma salvaguardano l’interesse della scienza, oggi invece la tendenza è d’imbrogliare per soldi e per fare carriera. L'imbroglionica insegna, a chi non è scienziato, a camuffarsi da vero scienziato di successo ed emergere nella massa degli oltre 3 milioni di ricercatori che oggi affollano i laboratori.

L'imbroglionica oggi, io dico, spopola nel campo della ricerca e delle indagini investigative e peritali. Non solo ci sono circoli di amici (da non confondere col famoso Circolo di Vienna), di periti e consulenti forensi, che davanti al giudice fingono di non conoscersi e fanno le perizie e consulenze nel gioco delle parti, ma ci sono professionisti che si improvvisano scienziati senza aver mai letto un libro di scienza. A parte la perita casalinga con la quinta elementare che ormai è un classico, ma c'è anche chi, con la sola laurea in pedagogia (col tutto il rispetto per i laureati in pedagogia!) su un biglietto di sei parole (ossia, "Tua moglie ti fa le corna"), scritto sia in stampatello maiuscolo e sia con la macchina da scrivere, è stata capace di fare tre perizie: una, sulla macchina da scrivere; due, sulla scrittura; tre, sulla capacità d'intendere e volere del probabile autore. Sorge il dubbio su come mai questa "scienziata" del crimine si sia fermata a tre e non abbia eseguito la quarta perizia, per analizzare la carta; la quinta, per analizzare gli inchiostri; la sesta, per riassumere il senso delle cinque perizie. Un professorone di chimica col vizio di occuparsi di grafologia, è stato nominato CT del Pm in un processo penale, si trattava del sospetto di firme apposte col pantoigrafo, lui in esame esordisce dicendo: "Premetto che non conosco il pantografo, però...." Ma se non conosci una cosa, perché taci?
Come si dice nel campo scientifico? Ciò di cui non si conosce, occorre tacere!
Da Popper[4] in poi, noi sappiamo, che l’unica cosa veramente certa che si possa dire a proposito di una teoria scientifica è che essa prima o poi sarà dimostrata falsa.

§1.1. Lo scienziato come impostore: errore e inganno

Charles Babbage nel 1830 cercò di dare una risposta al perché gli scienziati, che consideriamo i garanti della verità, siano indotti ad imbrogliare. Si è invocata la teoria delle “mele marce”, oppure la spiegazione che anche gli scienziati sono uomini come gli altri, quindi non immuni dal mentire. Di Trocchio[5] si è posto il problema se per lo scienziato il mentire non sia qualcosa d’intrinseco alla scienza. Egli è giunto alla conclusione che spiegare il perché uno scienziato imbrogli è di per sé un beneficio per la scienza, perché s’inserisce un criterio per distinguere una teoria o una scoperta vera da una teoria o scoperta falsa.
Da qui la domanda: se sono proprio loro a mentire, i più grandi della scienza e lo fanno in nome della scienza, allora vuol dire che non si può fare a meno di mentire nella scienza? Ossia, che non c’è altro modo di convincere il mondo della validità delle loro teorie e scoperte se non imbrogliando? La risposta è questa: lo scienziato enuncia delle teorie a quella che ritiene una realtà profonda d’alcuni aspetti del mondo e della natura e cerca di convincerci della validità e verità di tali teorie con degli esperimenti che ci “mostrino” quanto affermato.
Tuttavia anche lo scienziato sa bene, almeno dal 1934 in poi, che non gli sarà mai possibile dimostrare in modo conclusivo, magari con l’appello agli esperimenti, la verità di una qualsiasi delle sue teorie sulla realtà profonda del mondo. Si deve a Popper questa consapevolezza, avendo chiarito definitivamente sul piano epistemologico che ciò che si può dimostrare realmente è solo che una cosa è falsa; mentre è impossibile dimostrare conclusivamente che una cosa è vera. Questo vuol dire, che tutte le teorie scientifiche che riteniamo vere sono considerate tali non perché la loro verità sia stata realmente dimostrata, ma solo perché gli scienziati che le hanno enunciate sono stati capaci di convincere i loro colleghi e noi stessi
[6].
Questo però sembra voler dire, che non esistono verità, il che a sua volta ci porterebbe a dedurre che non è mai possibile distinguere una teoria o una scoperta vera da una teoria o scoperta falsa; o decidere se uno scienziato è tale o è solo un impostore. E’ evidente, che non è così. Per quanto oggi sia difficile trovare un criterio capace di discriminare una teoria vera da una falsa è possibile però utilizzare dei criteri empirici, ma efficaci, desumibili da due elementi fondamentali: il metodo (anch’esso oggi molto discusso) e la metodologia del metodo.
Potremmo spingerci ad affermare
, che il metodo potrebbe essere l’unico criterio utile per distinguere la validità o meno di uno scienziato e della sua teoria o scoperta. Già con  Galilei si è pensato bene, che tutti i successi della scienza moderna sono strettamente connessi con il metodo ipotetico deduttivo elaborato ed utilizzato dallo stesso, e poi in parte ripreso dagli altri scienziati. Secondo Galilei la prima cosa che uno scienziato deve fare è quella di osservare il fenomeno che intende spiegare. Poiché poi è difficile trattare tutte le cose osservate, egli deve ridurre le osservazioni a delle affermazioni semplici, definite più correttamente, proposizioni. Dopo quest’analisi delle relazioni matematiche essenziali si deve elaborare un’ipotesi da cui si possono dedurre una serie di conseguenze. Queste possono poi essere sottoposte alla prova dell’esperimento per accertare se sono o non confermate nella realtà (dall’esperienza empirica, direbbe Popper). Alla fine l’ipotesi risulta vera o falsa.
Questo metodo differisce da quello elaborato da Cartesio, che si articola in 4 fasi:
1)
    Evidenza: utilizzando il proprio intuito e l’intelligenza s'ammettono come vere solo le idee che si presentano in modo evidente, distinto e chiaro.
2) Analisi: si suddivide il problema principale in tanti problemi minori (momento deduttivo).
3) Sintesi: si  ordinano i pensieri cominciando da quelli più semplici per arrivare a quelli più complessi.
4) Controllo: si esegue la revisione generale per assicurarsi di non aver omesso nulla.
Secondo Cartesio tutte le cose vanno dubitate finché non si avranno fondamenti più certi nelle scienze; l’unica verità di cui non devo dubitare perché certa è il “Cogito ergo sum”: “Penso quindi sono”. (Posso dubitare di tutto tranne del fatto che sto dubitando e se ho la certezza che dubito vuol dire che penso, se penso allora sono).
A noi è stato insegnato a scuola, che tutte le scoperte scientifiche derivano dall’uso del metodo di Galilei. Questo però è vero solo in parte, perché in realtà non è mai esistito un metodo accettato da tutti, piuttosto, questo metodo ha affermato l’atteggiamento dello spirito dello scienziato; ed è questo atteggiamento dello spirito (non il metodo sperimentale di per se stesso) che è stato accettato dagli scienziati, fino ai nostri giorni.
In rapporto a ciò, è stato fatto osservare (M. Pera, 2000) che gli scienziati non è vero che poi abbiano fino in fondo rispettato quest’atteggiamento dello spirito, nei confronti della scoperta scientifica e delle teorie scientifiche. Infatti,
se Galilei avesse usato le regole metodologiche più raccomandate del suo tempo, non avremmo avuto la scienza moderna.
Feyerabend ha detto: “Non esiste alcuna regola, per quanto plausibile e per quanto saldamente fondata nell’epistemologia, che non sia stata violata in questa o quell’occasione”. Feyerabend sostiene che queste violazioni sono necessarie, oltre che utili, affinché la scienza possa progredire: mischiando regole metodologiche e trasgressioni a queste regole, trasgressioni che egli definisce errori.
La scienza, dunque, nasce non tanto dal metodo, ma anche o soprattutto dagli errori, ossia dalle trasgressioni a questo metodo.
Occorre osservare, che la parola “metodo” fu imposta da Platone e poi da Aristotele nel senso di “ricerca” e di strategia dell’investigazione; ma fu anche usata da Plutarco[7] come sinonimo di “artificio”, “stratagemma”, “frode”.
Ciò farebbe supporre che nella scienza prevalga il falso e non il vero, la truffa e non la verità. René Thom, fondatore della teoria delle catastrofi[8], ha scritto che le teorie vere sono tali perché generate dal falso, per questo motivo: la meccanica di Galilei[9], la teoria newtoniana, la teoria della relatività di Einstein[10], sono tutte teorie vere generate dal falso. Questo significa, per concludere su questo punto, che tutte le teorie, che sono considerate vere per un certo periodo storico, hanno origine da teorie precedenti che sono ritenute false o corrette e che esse stesse, a loro volta, verranno prima o poi ritenute false o corrette da altre teorie. All’inizio ed alla fine d’ogni teoria scientifica c’è, dunque, il falso. E’ questa falsità, generatrice di verità, che costituisce l’essenza stessa della scientificità.

§1.2. La verità come problema gnoseologico[11]

Nelle scienze dello spirito si è discusso molto del problema della verità e ci si è posti la domanda: che cos’è la verità? A lungo si è ritenuto che la verità stesse nell’adeguamento del soggetto che conosce, all’oggetto conosciuto. Dietro questa concezione vi era la convinzione che la ragione umana fosse in grado di conoscere l’oggetto, la realtà in sé delle cose, la loro intima essenza. Per questo motivo la conoscenza era strettamente connessa alla metafisica, vale a dire, al sapere che scopriva tale struttura della realtà. Nei casi in cui si è affermata una verità, questa non poteva che riguardare le cose così come si presentavano a noi, non come sono in se stesse.
Nella domanda di Kant “che cosa posso sapere?” vi era una impostazione, che invece di mettere l’accento sul primato dell’oggetto conosciuto, riteneva essenziale mettersi dal punto di vista del soggetto che conosce e domandarsi possibilità e limiti della conoscenza
[12]
.
Il
problema della conoscenza si poneva nella domanda kantiana non solo come problema di che cosa, ma anche di come all’uomo era possibile sapere. Ci si chiede, vale a dire, quali sono le fonti a cui il soggetto attinge per conseguire delle conoscenze vere o in ogni caso attendibili (l’esperienza sensibile? Le idee della ragione?) e quali, infine, sono i fondamenti del ragionamento corretto?
Le domande riguardo alla conoscenza, sul piano gnoseologico, sono note:
vi è una sola Verità o ve ne sono tante? Ognuno ha la sua personale verità oppure è possibile trovare un fondamento comune di verità? E se vi è la verità, possiamo realmente conoscerla oppure possiamo solamente cercarla senza mai poter dire con certezza d’averla trovata? Diremo, allora: la verità di qualsiasi affermazione dipende dalla sua corrispondenza con uno stato di cose esistenti. La proposizione in perizia “tutti i corvi sono neri”
è vera se, e solo se, effettivamente, tutti i corvi sono neri. Sarà sufficiente che un solo corvo non lo sia e la proposizione non è più vera[13]. Del pari, la proposizione “Tizio è capace d’intendere e volere” è vera se e solo se, effettivamente, tutte le condizioni che indicano il significato d’intendere e volere lo confermano. Sarà sufficiente che un solo elemento di questi non lo sia e la proposizione non è più vera.
Nella filosofia dello spirito ci si è chiesti: se tutto quello che pensiamo è un fatto mentale, se, vale a dire, ogni nostra idea - impressione o concetto - è solo nella mente, chi può garantirci che essa corrisponda effettivamente alla cosa che è pensata?  E, ancora: qual è la natura della verità? E’ il frutto di una rivelazione divina oppure è il prodotto della mente umana? In quest’ultimo caso, fin dove può arrivare la nostra possibilità di conoscere la verità? Non è forse necessario conoscere preliminarmente quali sono i limiti della nostra capacità conoscitiva? 
Socrate
[14] affermava che l’impegno del vero filosofo era di smascherare ogni presunzione di verità, ogni acquisizione superficiale del sapere, ogni atteggiamento acritico e dogmatico. La sua pratica filosofica fondamentale è la confutazione del sapere corrente, in altre parole la dimostrazione che ciò che si ritiene vero si basa su una serie d’opinioni e affermazioni che, opportunamente analizzate, si rivelano palesemente in contraddizione fra loro e non fondate. Non l’affermazione presuntuosa della propria competenza e del proprio sapere, ma il riconoscimento della propria ignoranza, in altre parole “il sapere di non sapere”, costituisce il passaggio obbligato per ogni reale acquisizione di verità. Colui che presume di sapere, dice Socrate, non assumerà un atteggiamento di ricerca. La ricerca della verità è caratteristica dell’uomo e della condizione umana.
Il compito della ricerca ancorata a dei criteri di scientificità non è quello di rendere gli investigatori o i giudici più sapienti (o sapientissimi, come lo erano i Sofisti criticati da Socrate), ma più consapevoli di sé e dei limiti del proprio sapere. E’ necessario imparare a ragionare scientificamente, usando la logica e sapendo scegliere tra metodologia del metodo e metodologia del risultato della ricerca peritale.
Occorre, dunque, insegnare a ragionare, in altre parole, abituare chi cerca la “verità” a riflettere per raggiungere autonomamente le proprie convinzioni e per compiere le scelte più adeguate in rapporto al problema iniziale.

§2. Metodo induttivo e deduttivo dei principi peritali

Il metodo induttivo si basa sull’osservazione dei fenomeni dell’esperienza sensibile e sulla generalizzazione, in altre parole sull’individuazione di quanto ci sia in comune nei casi singoli osservati: osservando le diverse specie di pesci e notando che ciascuno ha le squame possiamo concludere che tutti i pesci hanno le squame.
L’induzione procura le premesse universali di ciascuna scienza; ma, chi ci garantisce che queste premesse ricavate dall’osservazione e dall’induzione abbiano una validità universale? Non può farlo la stessa induzione, perché si limita solo ai casi osservati e registrati, ma non è in grado di esaudire tutti i casi possibili, dai quali ricavare conclusioni assolutamente certe. Il problema delle premesse allora rimarrebbe aperto se Aristotele per primo non si fosse richiamato ad un’intuizione intellettuale (o Noùs) che ci permette di cogliere i principi di ogni scienza. In altri termini, Aristotele ipotizza l’esistenza di una facoltà razionale la quale - senza dimostrazione - riesce a cogliere con piena evidenza le premesse che appartengono a quella scienza e senza le quali essa perderebbe la sua identità.
Le scienze muovono, dunque, da concetti e premesse generali, che possono essere solo intuiti e costituiscono la base di partenza dei loro procedimenti dimostrativi.
La soluzione suggerita da Aristotele che cerca di conciliare l’esigenza di coerenza e rigore dell’argomentazione scientifica (a partire da premesse vere) con quella della sua concretezza, resta, tuttavia, una questione ancora aperta.

§3. Il modello di teorizzazione causale

Il modello causale tende ad individuare fino a che punto la variazione di una variabile causi la variazione di un’altra. In realtà questo è risultato molto difficile, tanto che nelle scienze sociali si parla sempre meno di causa e sempre più di correlazione tra variabili diverse. In ogni caso, nelle scienze criminali affermiamo, che,
a)
                esiste una relazione tra X e Y;
b)
             la relazione è asimmetrica, così che una variazione di X ha come risultato una variazione di Y, e non viceversa;
c)
             una variazione di X ha come risultato una variazione di Y quali che siano le influenze d’altri fattori.
Dato che nessuna causa può precedere l’effetto, uno dei metodi più sicuri per determinare quale fattore sia la causa e quale l’effetto, è la sequenza temporale (ciò che accade prima è considerato la causa, ciò che accade dopo l’effetto). Riteniamo utile parlare di causalità in termini di condizioni necessarie e sufficienti.
·
        X è causa necessaria al verificarsi dell’effetto Y se Y non accade mai, a meno che non accada (o sia già accaduto) X.
·
        X è causa sufficiente di Y, se Y si verifica tutte le volte che si verifica X.

Ma esistono altre tre combinazioni:
·
        causa necessaria ma non sufficiente: in questo caso X deve accadere, ma non basta, è necessario che compaia un altro fattore, prima che avvenga Y (es. fumo, smog e cancro). In questo caso si può parlare dei due fattori come cause parziali;
·
        causa sufficiente ma non necessaria: quando due o più fattori, ad esempio X e Z, sono causa alternativa dello stesso fenomeno Y, ma non sono causa parziale, perché anche uno solo dei due fattori è sufficiente a causare Y (ad es. nel caso risulti che il fumo e lo smog sono sufficienti, anche da soli, a provocare il cancro);

·        causa necessaria e sufficiente: questa è la forma più forte di relazionale causale, Y non accadrà mai senza che accada X, ed accadrà sempre quando accade Y. In questo caso non ci sono cause alternative, X è la causa completa, l’unica causa[15].
L’ultimo aspetto importante da sapere è la causazione reciproca.
Abbiamo visto come di solito
si parla di causa nei rapporti asimmetrici, ma è possibile individuare una causa anche nelle relazioni simmetriche, in cui X è causa di Y e contemporaneamente causa ed effetto.
Ma la causa può non essere diretta tra X e Y e passare attraverso una serie d’altri fattori, intermedi, che rendono il processo ancora più complicato[16].

Conditio sine qua non
La sequenza temporale è spesso il modo certo per stabilire quale fattore sia la causa (il prima) e quale l’effetto (il dopo). A complicare però le cose sono tre combinazioni di necessità e sufficienza.
·
        Prima combinazione: X è una condizione necessaria ma non sufficiente per l’esistenza di Y. In questo caso, X deve accadere prima che accada Y, ma X da solo non è sufficiente a causare la comparsa di Y. Al contrario, deve esistere qualche altro fattore che compare sommato a X prima che compaia in Y. Supponiamo, per esempio, che la ricerca dimostri che soltanto i fumatori si ammalano di cancro al polmone e che i non fumatori non si ammaleranno mai. Ciò dimostrerebbe che il fumo X è condizione necessaria del cancro Y al polmone. Ma supponiamo che ulteriori ricerche svelino che tale malattia non coinvolge tutti i fumatori. Di fatto, solo i fumatori che vivono anche in un’area a forte inquinamento atmosferico Z si ammaleranno di cancro. Da solo il fumo X non può provocare il cancro Y ma in combinazione con lo smog Z (che è anch’esso una causa necessaria ma insufficiente) può portare al cancro. Insieme i fattori del fumo X e dello smog Z sono sufficienti a causare la malattia, ma singolarmente sono insufficienti, per quanto sia necessario.
·
        Seconda combinazione: un fattore può essere una condizione sufficiente ma non necessaria. Modifichiamo il nostro esempio affermando due cose: a) che il fumo X è sufficiente a causare da solo (senza la compresenza d’altri fattori) il cancro al polmone; b) che anche lo smog Z è sufficiente a causare da solo (senza la compresenza d’altri fattori) il cancro al polmone. In questi casi nessuno dei due fattori (fumo o smog) è di per sé necessario perché si manifesti il cancro. Più specificatamente il fumo non è più necessario perché il cancro si manifesterà anche in sua assenza (se è presente lo smog); lo smog non sarà più necessario perché il cancro si manifesterà anche in sua assenza (se è presente il fumo). In ogni caso, uno dei due deve essere presente. Nel caso di condizioni non sufficienti ma necessarie, possiamo affermare che X e Z sono cause alternative di Y ma non cause parziali, poiché ciascun fattore è sufficiente a causare Y da solo.
·
        Terza combinazione: la causa X è ad un tempo necessaria e sufficiente per il verificarsi dell’effetto Y. Questa è la forma più ideale di relazione causale. In questo caso Y non accadrà mai senza che accada X ed accadrà sempre quando accade X. Non ci sono altre possibilità: X è la causa completa ed unica. Poniamo un esempio: se il fumo costituisse una condizione necessaria e sufficiente del cancro, allora tutti i fumatori si ammalerebbero di cancro e nessun non fumatore si ammalerebbe mai. Dato che X è necessario, non sussistono cause alternative e dato che X è anche sufficiente, è la causa completa e non una causa parziale. Una relazione necessaria e sufficiente rappresenta il più puro caso di causalità. E’ un esempio d’unicausalità, perché X è la sola causa di Y e Y non si manifesterà mai senza che sia presente X.
L’idea che la scienza possa, e debba, essere gestita in accordo a leggi fisse e universali è tanto irrealistica quanto perniciosa. E’ irrealistica in quanto considera in modo troppo semplicistico le doti dell’uomo e le circostanze che ne incoraggiano, o causano, lo sviluppo. Ed è perniciosa in quanto un tentativo di imporre le regole è destinato ad aumentare le nostre qualificazioni professionali a scapito della nostra umanità. Tale idea è inoltre dannosa per la scienza, in quanto trascura le complesse condizioni fisiche e storiche che influiscono sul mutamento scientifico. Essa rende la nostra scienza meno adattabile e più dogmatica: ogni regola metodologica è associata ad assunti cosmologici, cosicché usando la regola diamo per scontato che gli assunti siano giusti.

§4. Sul metodo e contro il metodo

Nel testo “Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza”, Karl Raimund Popper (Vienna, 1902 - Londra, 1994) ha scritto: “Tutta la mia concezione del metodo scientifico si può riassumere dicendo che esso consiste in tre passi: inciampiamo in un problema; tentiamo di risolverlo; impariamo dai nostri sbagli. O per dirla in tre parole: problemi-teorie-critiche[17]. Afferma Popper: “Noi non sappiamo niente. Questo è il primo punto. Di conseguenza, dobbiamo essere molto modesti, questo è il secondo punto. Che non diciamo di sapere, quando non sappiamo, questo è il terzo punto. Questa è all’incirca la concezione che io vorrei volentieri rendere popolare. Ma non è che ci siano troppe speranze”[18].  Il concetto popperiano di falsificabilità (che definisce appunto un criterio di scientificità) si oppone nettamente a quello neopositivista di verificabilità, inteso a definire un criterio di senso[19]. Il criterio di falsificabilità afferma che una teoria, per essere controllabile, e perciò scientifica, deve essere “falsificabile”: in termini logici, dalle sue premesse di base devono poter essere deducibili le condizioni di almeno un esperimento che la possa dimostrare integralmente falsa alla prova dei fatti, secondo il procedimento logico del modus tollens (in base a cui, se da A si deduce B, se B è falso, è falso anche A). Se una teoria non possiede questa proprietà, è impossibile controllare la validità del suo contenuto informativo relativamente alla realtà che essa presume di descrivere.

Paul K. Feyerabend (Vienna, 1924 - Ginevra, 1994), invece, afferma che qualsiasi tentativo di stabilire un metodo della scienza basato su norme rigide è destinato al fallimento, poiché non esiste alcuna norma che non sia stata intenzionalmente violata nel corso della storia della scienza. E, anzi, la stessa esperienza storica dimostra che il progresso scientifico spesso si attua mettendo tra parentesi le regole e le procedure stabilite e accettate dalla comunità scientifica, attraverso l'uso disinvolto di quelle che vengono a volte chiamate "ipotesi ad hoc".
Afferma Feyerabend: “Il falsificazionismo pretende di distinguere una teoria controllabile da una incontrollabile, dicendo che una teoria controllabile può essere confutata dall'esperienza; tuttavia nulla vieta di tentare di confutare in maniera metodologicamente coerente la confutazione di una teoria;  allo stesso modo, una teoria di principio incontrollabile può essere criticata adottando prospettive di metodo ad essa opposte o contrarie”
[20]. Mentre la tradizione razionalistica diffonde un'immagine monolitica ed atemporale della scienza, Feyerabend pone l'accento sulla dimensione storica, dinamica e pluralistica del sapere scientifico, giungendo a una concezione del procedere scientifico, nota col termine di anarchismo metodologico. Esso consiste: la negazione dell'esistenza nella scienza di un metodo  universalmente valido e la tesi che nella pratica scientifica "qualsiasi cosa va bene", nel senso che il procedere scientifico può anche utilizzare le pratiche più diverse o anche in evidente contrasto con i canoni metodologici maggiormente accreditati. In questo modo, anche il distacco tra sapere scientifico e altre forme di conoscenza della realtà (ad esempio, il mito) perde di rigidità. La scienza quale si è venuta a costituire negli ultimi secoli, invece che come valore indiscutibile e un destino inevitabile, finisce allora per presentarsi come il risultato di una particolare epoca storica, inevitabilmente influenzata da componenti storico-culturali, sociali e perfino ideologiche. La scienza può addirittura trasformarsi un disvalore nella misura in cui pretende di soppiantare e di prevaricare ogni altro tipo di discorso[21].

 §5. L'era ipertecnologica, la scienza ci rende cinici

Viviamo in un’epoca ipertecnologica e frenetica, dove è richiesto sempre meno lo sforzo di esercitare il pensiero critico. Siamo tutti sedotti dal fascino delle tecnologie, condizionati dalle culture del sospetto, del dominio, del controllo, del possesso, dell’insicurezza, con tutte le complicazioni, subculturali o patologiche, che da ciò derivano: difficoltà a immaginare il  futuro, vecchie e nuove fobie, ansia, stress, paranoia, vuoto di sé, stupidità divagante.
Intere generazioni si sono ormai abituate a ricorrere all’uso del telecomando, sempre a portata di mano, dove lo sforzo più critico del pensiero è quello d’indovinare qual è il bottone giusto da pigiare. Giovani, il cui linguaggio, influenzato dai mass media, dai video games e dalle crisi interpersonali, è sempre più sintetico, freddo, sganciato dalla realtà reale e persino dalla semantica e dalla sintassi. La semiotica pone questo inquietante interrogativo: i giovani, nel futuro prossimo, riusciranno a pensare in modo autonomo per più di 30 secondi, l’equivalente della durata di uno spot?  Afferma il prof. Francesco Sidoti:
«L’investigazione viene svolta da un soggetto naturalmente ignorante, fallibile, spesso fazioso e superstizioso, sempre sovrastato da un’eccedenza di percezione, in un contesto storico caratterizzato da una sovrabbondanza incomparabile di stimoli, d'informazioni, di delitti»[22].
Condivido questa affermazione di Sidoti, per questo, nelle scienze criminali, mi preoccupano molto i facili ricorsi all’uso delle tecnologie più sofisticate e moderne. L’investigazione e la criminologia, nella loro rispettiva metodologia dell’indagine, devono preoccuparsi, più che a scoprire la “verità”, ad evitare l’errore, più che a collezionare certezze, a nutrire dubbi. (Dubium sapientiae initium, “La saggezza inizia col dubbio” affermava Cartesio[23]). Più che a dare risposte giuste, ci si deve preoccupare di evitare quelle sbagliate. Più che a rappresentare l’accusa e guardare solo agli elementi di colpevolezza, si deve agire per difendere la legalità. Più che a presumere la colpevolezza delle persone, si deve presumere l’innocenza. Più che pretendere dagli altri il rispetto della legalità, occorre, anzitutto, rispettarla noi.
Se è condivisibile il pensiero di K. Popper che afferma: «Nessun uomo dovrebbe essere considerato colto, se non ha interesse per la scienza»; allo stesso tempo, è condivisibile quello di Kant, quando invita ogni persona ad usare la propria intelligenza, anziché affidarsi all’autorità di un altro e considerare la scienza come una sfida; in altre parole, Kant invita a non accettare, come guida, neppure l’esperto scientifico, addirittura neppure la stessa scienza.
E’ questa la doppiezza di pensiero e di guida, che intendo suggerire con questo saggio, pur rimandando al mio testo "Senso e conoscenza nelle scienze criminali", per un approfondimento. Ha ragione anche il filosofo Bencivenga[24], quando afferma: “E’ meglio rimanere fuori al freddo, nella confusione, in mezzo a problemi aperti e difficoltà senza soluzione, per quanto frustrante la cosa possa essere. Chi preferisce a tutto questo la sicurezza di una risposta preconfezionata farà spesso la fine del chimico Ernest Stahl”[25].
In Inghilterra e negli USA la polizia è molto informatizzata: mediante appositi software è in grado di tenere sotto controllo le aree del territorio a rischio criminalità. Con un dato programma (DUF) tiene conto della relativa vicinanza, studia dove i delinquenti tendono a commettere i crimini rispetto alle loro residenze e paragona questi dati ai fattori demografici, a scopo preventivo o di repressione. In pratica il programma stila una casistica sulla base dei crimini commessi in una determinata area geografica. Queste casistiche usufruiscono del supporto d’altri programmi, per esempio, quelli d’ottimizzazione geografica criminale (CGT), che aiutano gli analisti del crimine a calcolare relazioni possibili tra i dati relativi al luogo di residenza e di spostamenti abituali dei criminali e il luogo dove hanno compiuto dei crimini.
Il programma CGT
[26]
si basa sul principio che esiste un rapporto di distanza fra le residenze dei delinquenti abituali e la micro-realtà dove hanno scelto di delinquere. Questi delinquenti, come tutti, conducono le loro attività in modo abituale, all'interno di una micro-realtà geografica che conoscono bene.  Il programma CGT parte dal presupposto che chi delinque non lo fa nel luogo dove risiede, ma dove opera come criminale.
Un analista del crimine, usando uno di questi programmi, traccia una zona di caccia, individua la micro-realtà dove i delinquenti agiscono in modo abituale o incontrano le loro potenziali vittime. Ad ogni punto, all'interno di questa zona, il programma assegna una probabilità d’essere quella la residenza del delinquente
[27]
.
Accanto a ciò, la polizia americana, per prima, ha ideato uno studio basato sul principio di rendere visibile su una mappa tutti i crimini commessi nel territorio rappresentato. Questa tecnica è definita “mapping crime” e si avvale di software particolari[28]. Il programma raccoglie dei primi dati, detti layer: le mappe del territorio, rendendo visibili edifici, strade, parchi, ecc. Il primo layer è la mappa che visualizza la strada, poi l’edificio e il numero civico. Un secondo layer, dettato dal sistema satellitare Geographical Information System (GIS), focalizza un particolare e poi il dettaglio sulla mappa digitale (nell’edificio s’individua il singolo appartamento, negozio, scuola o altro).
Oggi, così come per fare la spesa non è più necessario recarsi fisicamente al supermercato, perché è sufficiente la rete internet, allo stesso modo si possono condurre determinate indagini stando seduti dietro un computer in rete.
In internet, per esempio, trovi siti[29] che ti forniscono in scala la mappa della tua città. Puoi trovare la cartografia, che ti consente di raggiungere il palazzo della persona che cerchi e, quindi, di pianificare le perquisizioni mirate o il controllo zonale.
Il servizio telematico dell’Unioncamere consente agli abbonati di ottenere in tempo reale tutte le informazioni sulle imprese e gli imprenditori che occorrono: il bilancio, i protesti cambiari, i dati fiscali e tributari, fallimenti, ecc.
Il sistema Cerved Business Information
[30]
ti consente di poter ottenere in tempo reale le informazioni su un’impresa, in termini di solvibilità ed affidabilità[31].
Questi sono semplici esempi che evidenziano bene come la tecnologia è sempre più invasiva e seducente. L’ingegnere Leonardo Serni, che insegna ai nostri Seminari di Scienze criminali a Calenzano (FI), conversando con me, a riguardo afferma: «E' comodo ricevere puntualmente bollette precise, però allora sei schedato all'ENEL, all'acquedotto e all'azienda del gas. Ma può essere di conforto il fatto che un'integrazione di tutte queste fonti d’informazione non possa prescindere dal concetto di "significato": i vari archivio-dati contengono oceani d’informazioni... il che è come affermare che non contengono alcuna informazione immediatamente disponibile. Bisogna che ci sia qualcosa che, a quel mare d’informazione, dia un "significato", e decida cosa è rilevante, e cosa no. Per definizione quel qualcosa non può essere che una mente umana».
Attribuire il significato ad un significante è compito della semantica, quindi dall’ingegneria informatica ci spostiamo alle scienze umane. Allora occorre dire che, se da una parte queste tecnologie risolvono dei problemi, automaticamente ne aprono degli altri. Le tecnologie, come il linguaggio, non sono mai neutre. Da una parte, consentono di catturare il farabutto o di far pervenire la bolletta puntuale, grazie a delle schedature dei cittadini, dall’altra, però si sacrifica un pezzo di libertà e di rapporti umani. L’investigatore superdotato, quasi bionico, rischia di subire il fascino della comodità tecnologica ed anziché ragionare per problemi, sfruttando la propria intelligenza, rischia di abituarsi a pensare in termini sommari, di statistica o in modo approssimativo.

 

Nel futuro, con l'intelligenza artificiale non gli è chiesto nemmeno di ragionare più di tanto, perché può pensare a tutto la "macchina", basta pensare che se prima era l'uomo a guidare l'automobile, per esempio, ora è l'auto a guidare l'uomo tramite il satellite e l'intelligenza artificiale per prevenire in modo automatizzato i pericoli.

 


Immaginiamo queste logiche bioniche in una famiglia. Supponiamo che per essere sicuro che tuo figlio fili dritto o che tua moglie non ti tradisca, decidi di impiantare microtelecamere che li seguono ovunque. Poi non basta vedere, ma si deve anche sentire, pianificare, prevedere ed, infine, reprimere...
In tutti questi casi hai perso: perché sei uno spione, perché sei incapace di farti rispettare ed amare. (Così come lo Stato non può penalizzare ogni patologia, altrimenti reprime tutto ma non previene nulla). La logica dell’uomo-bionico e scientifico moderno, sempre più efficiente, spione, preparato, dotato di tecnologie d’assalto e sottili, è una logica tanto comoda quanto cinica e
povera d’umanità, perché sacrifica i rapporti umani. Si rischia di avere uomini macchina con macchine al posto del cuore. Uomini, in altre parole, incapaci di provare empatia, di mettersi nei panni dell’altro di sé; uomini, socialmente freddi, determinati o spietati.
Diceva Charlie Chaplin:
[32] «La macchina dell'abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l'abilità ci ha resi duri e cattivi, pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza, senza queste qualità la vita è violenza e tutto è perduto». Ciò per dire, che il Paese più felice non è quello che ha il maggior numero di uomo-bionici, di uomini spioni e boriosi, ma quello che non avverte la necessità di averli.
Il prof. Luigi Lombardi Vallauri[33], docente di Filosofia del Diritto all’Università di Firenze, sostiene (ed io sono d’accordo), che la nostra società  non compensa chi fa andare bene le cose. Non produce, per esempio, il giurista della prevenzione al crimine  o al delitto (vale a dire, chi previene col bene il male), ma preferisce produrre industrialmente psicologi, consiglieri familiari, assistenti sociali, psichiatri, educatori carcerari, criminologi, maestri di scuola speciali... Mentre è del tutto evidente, che il più felice paese non è quello che dispone del massimo numero di queste figure professionali, bensì quello che più di ogni altro può farne a meno.
La criminologia clinica è multidisciplinare ed interdisciplinare. Essa deve attingere conoscenze da tutte le altre scienze o discipline teoriche, a cominciare dalla psicologia e dalla psichiatria. Lo scienziato ha il dono del dubbio e l’atteggiamento scettico, ma non deve innamorarsi né delle proprie idee né di quelle degli altri. In una democrazia la critica è essenziale. In questo testo la critica è rivolta al diritto penale, alla psicologia, alla psichiatria, alla criminologia perché il fine è l’uomo, dunque l’umanità.
Il filosofo Diogene
[34] andava in giro con una lanterna in mano, accesa anche di giorno, ed a quanti lo fermavano per chiedergli cosa stesse cercando, lui rispondeva: “Cerco l’uomo!”. Allora e, concludo, come ho scritto nella premessa: se suprema attività umana è fare scienza, allora diventa doveroso impedire alla scienza di essere tanto brava da rendere inutile all’uomo di fare scienza[35].

 

Bibliografia

Bencivenga Ermanno, I passi falsi della scienza, Garzanti 2001

Di Trocchio F. - Le bugie della scienza, Ed. Mondadori, Milano 2000.

Feyerabend Paul K., Contro il metodo, Feltrinelli, Milano 2005.

Fortunato Saverio, Senso e conoscenza nelle scienze criminali, Colacchi, L’Aquila 2007.

Popper K. R., Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza, Il Mulino, Bari 1969.

Popper, R. Karl - La teoria scientifica, Einaudi, Torino 1970.

Popper K. R., La posizione epistemologica della teoria evolutiva, in Tutta la vita è risolvere problemi, trad. it. Milano, Rusconi, 1936.

Sidoti Francesco, Investigazione e Criminologia, Giuffrè, Milano 2006

Vallauri Lombardi Luigi, Corso di Filosofia del diritto, Cedam, Padova 1989.

[1] Saverio Fortunato, Senso e conoscenza nelle scienze criminali, Colacchi, L’Aquila 2007.
[2] Ermanno Bencivenga, I passi falsi della scienza, op. cit.
[3] Di Trocchio Federico,  Le bugie della scienza, op. cit., p. 364
[4] Popper, R. Karl - La teoria scientifica, Einaudi, Torino 1970.
[5] ibidem Op. cit.
[6] ibidem, op. cit.
[7] Plutarco di Cheronea (Cheronea, Boezia 45-125 d.C.) letterato e filosofo greco. Plutarco fu un o dei pochi filosofi platonici a ritenere che il mondo fisico avesse un’origine temporale e quindi non fosse eterno e generato.
[8] “La teoria delle catastrofi, se volete, dice René,  ritorna alla vecchia idea eraclitea che il conflitto è il padre di tutte le cose. Qualsiasi forma deve la sua origine ad un conflitto”.
[9] Il fatto che le leggi della fisica siano identiche in tutti i sistemi inerziali è il cosiddetto  principio di relatività galileiana (RGal). Questo principio fu scoperto da Galileo ed è il principio più importante della fisica. In questi sistemi di riferimento non ci si accorge di essere in moto (a meno che non si guardi all'esterno). Tutti gli esperimenti di fisica fatti in questi sistemi non rivelano alcun moto del sistema stesso. Inoltre nei sistemi inerziali le leggi della fisica sono identiche. Se giocassi a biliardo in una nave od in un'altra non riscontro alcuna differenza di comportamento negli urti fra le palle. I due sistemi inerziali sono assolutamente identici.
[10] Nel 1905, Albert Einstein, allora impiegato all'Ufficio Brevetti svizzero, propose l'idea di abbandonare l'idea dell'etere e quella di un tempo assoluto. Nella relatività speciale solo la velocità della luce ha un valore assoluto, al contrario del tempo e dello spazio, che diventano relativi. In particolare la luce, nel vuoto, viaggia sempre a velocità costante (circa 300.000 km al secondo), qualsiasi sia la posizione di uno o più osservatori in relazione ad essa.
[11] La gnoseologia è l’indagine sui processi della conoscenza, sul loro fondamento ed esito.
[12] per pervenire alla conoscenza Kant sostiene che sono necessari i dati sensibili e l'intelletto che li riorganizzi, perché senza l'intelletto la nostra conoscenza sarebbe cieca e senza l'esperienza sarebbe vuota.
[13] La proposizione “Tutti i cigni sono bianchi” è vera per postulato, poiché a ben vedere ci sarà sempre un cigno che messo accanto all’altro sarà più o meno bianco.
[14] Socrate, filosofo Greco, nasce ad Atene nel 469 a.C. morirà ucciso nel 399 d.C..
[15] I modi migliori per conoscere le cause sono l’analisi della sequenza temporale, in particolare, l’osservazione sperimentale (Bailey, 1991).
[16] E’ una teorizzazione di questo tipo che si va diffondendo sempre più e che sta diventando uno dei punti centrali di un’analisi attuale nel campo delle scienze sociali. Queste ultime, cioè, stanno passando da un’analisi unicausale, tipica di una sociologia ottocentesca, ad una causalità reciproca, interrelata, complessa.
[17] K. R. Popper, Le fonti della conoscenza e dell’ignoranza, op. cit.
[18] K. R. Popper, La posizione epistemologica della teoria evolutiva, in Tutta la vita è risolvere problemi, trad. it. Milano, Rusconi, 1936, p. 134.
[19] sono significative, cioè dicono qualcosa, solo le asserzioni verificabili induttivamente; le asserzioni delle metafisiche, che non lo sono, non sono significative.
[20] Paul Feyerabend, Contro il metodo, Feltrinelli, Milano; tratto dall'intervista "Idee varie" - Roma, D.S.E., lunedì 11 ottobre 1993.
[21] Astro Calisi,  su ildiogene.it, pagine enciclopediche, scheda.
[22] F. Sidoti, Investigazione e Criminologia, Giuffrè, Milano 2006, p. 203.
[23] Cartesio (1596-1650), riteneva che è vero ciò che è evidente, ciò che non può essere messo in dubbio. Il suo scetticismo metodologico rifiuta come falsa ogni idea che può essere revocata in dubbio. “A parte i nostri pensieri, non c'è nulla che sia davvero in nostro potere”. Il suo vero nome era René Descartes, filosofo, era conosciuto anche con il nome latinizzato Renatus Cartesius, in Italia modificato in Cartesio. Fu considerato uno dei più grandi e influenti pensatori nella storia dell'umanità, suo è il famoso detto: “Cogito ergo sum (penso dunque sono).
[24] Ermanno Bencivenga, I passi falsi della scienza, op. cit.
[25] Georg Ernest Stahl (1660-1734) chimico e medico Tedesco, propose la teoria del flogisto, alquanto vaga ed errata, ma che fu presa sul serio per circa un secolo dai chimici e fisici. Fu solo tra il 1770 e il 1790 che Antoine-Laurent Lavoisier fu in grado di confutare questa teoria, dimostrandole la fallacia.
[26] Cfr. Rossmo, D.K. (1995) “Posto, spazio ed indagini della polizia: Cercare i criminali violenti di serie, in J.E. Eck e nel D. Weisburd (Eds.).
[27] Per eseguire l’analisi dei rapporti nello spazio di variazione, si può usare il software GWR. Il software GWR è sviluppato dal Dott. A. Stewart Fotheringham, Martin Charlton e Chris Brunsdon.
[28] Questa tecnica investigativa è resa evidente, ed utilizzata molto bene, nella commedia televisiva seriale “24”, vincitrice di 16 Emmy Awards e 2 Golden Globes, prodotta da Real Time Production in associazione con Twentieth Century Fox Film Corporation srl, diretta da Paul Shapiro, interpretata magistralmente da Kiefer Sutherland (Jack Bauer), dirigente del Centro antiterrorismo americano (CTU), impegnato a tutelare l’incolumità del sen. David Palmer, candidato alla Casa Bianca prima.
[29] http://maps.google.it/maps, http://www.tuttocitta.it/tcolnew/index_tcol.html#
[30] http://www.sistemi/.com/accinfod.nsf/cat_cerved.htm
[31] Le forze di polizia possiedono un sistema informativo interforze (CED), che consente ormai di interagire con le banche dati della Corte di Cassazione, della Gazzetta ufficiale, dell’Unioncamere, della Banca d’Italia, dell’A.C.I., della Motorizzazione Civile, della Telecom.
[32] Charles Chaplin, “The great dictator” (Il grande dittatore), film scritto, diretto, interpretato e prodotto da Charles Chaplin durante la seconda guerra mondiale, con grande umanità e coraggio. Sul finale del film, Chaplin, a causa della sua somiglianza fisica con Hitler (i baffetti, la statura, ecc.), per una serie di equivoci e di gag, si vede costretto a dover parlare al posto del dittatore davanti una folla oceanica di tedeschi. Il suo discorso, carico di umanità, è anticipato dalla presentazione di un militare nazista, che invece semina odio ed intolleranza contro gli ebrei ed a favore del principio “scientifico” della superiorità “biologica” della razza ariana.
[33] Luigi Lombardi Vallari, Corso di Filosofia del diritto, Cedam, Padova 1989.
[34] Diogene di Sinope (Atene, 413 - 323 a.C.), filosofo. La leggenda vuole che abitasse in una botte e girasse per Atene anche di giorno con una lanterna dicendo che cercava l'uomo. Seguendo la filosofia del cinismo, Diogene preferiva l'esempio pratico alla teoria. Si narra che un giorno ebbe una visita di Alessandro Magno. Lo trovò disteso per terra come un barbone, l’imperatore gli chiese di cosa avesse bisogno, perché avrebbe esaudito qualsiasi suo desiderio. Diogene gli rispose di spostarsi perché gli faceva ombra.
[35] Saverio Fortunato, Nuovo manuale di metodologia peritale, Ursini, Catanzaro 2007
[36]Il satellite geostazionario europeo EGNOS consente di migliorare la precisione dei sistemi di navigazione che utilizzano i segnali GPS e GLONASS Foto Esa

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